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Gli alimenti ultra-processati causano comportamenti da vera e propria dipendenza da sostanze

05/08/2025Uncategorized

Alcuni alimenti sono «progettati» perché sia difficile smettere di mangiarli. Un nuovo studio lo conferma. Ecco quali sono e come gestirli:

 cibi ultra-processati possono scatenare comportamenti di dipendenza che soddisfano gli stessi criteri clinici utilizzati per diagnosticare i disturbi da uso di sostanze.
L’ennesima conferma viene da un recente studio pubblicato su Nature Medicine da scienziati dell’Università del Michigan che hanno sintetizzato le prove provenienti da quasi 300 ricerche condotte in 36 Paesi del mondo: gli alimenti ultra-processati possono alterare il sistema di ricompensa del cervello (innescando il rilascio di dopamina) inducendo desiderio,perdita di controllo e consumo persistente, caratteristiche chiave delle dipendenze.

L’analisi 

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Tra i cibi ultra-processati ci sono i prodotti industriali confezionati come dolci, patatine, cereali da colazione, piatti pronti.
Studi di neuroimaging (che mostrano le aree del cervello in attività) hanno rivelato che gli individui con un consumo compulsivo di questi alimenti presentano alterazioni dei circuiti cerebrali sorprendentemente simili a quelle osservate nella dipendenza da alcol e cocaina, hanno scritto gli scienziati.
«Le persone non stanno diventando dipendenti dalle mele o dal riso integrale – ha affermato l’autore principale dello studio, Ashley Gearhardt, Professore di psicologia all’Università del Michigan -. Stanno lottando contro prodotti industriali specificamente progettati per colpire il cervello come una droga: in modo rapido, intenso e ripetuto».

Gli autori invitano i responsabili della sanità pubblica, i medici e i responsabili politici ad adottare misure immediate dato che la dipendenza da cibo ultra-processato non ha ancora ricevuto un riconoscimento preliminare nemmeno come condizione degna di ulteriori approfondimenti: «In altri casi, l’asticella per riconoscere la dipendenza è stata molto più bassa», ha affermato la coautrice Erica LaFata, Professoressa associata di ricerca presso il Center for Weight, Eating, and Lifestyle Science della Drexel University.  

La food addiction e chi riguarda 

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Un precedente sondaggio condotto proprio dall’Università del Michigan sull’invecchiamento sano aveva mostrato come il 13% degli adulti americani (tra i 50 e gli 80 anni) non riuscisse a fare a meno degli alimenti trasformati.
I sintomi della «dipendenza» descritti erano stati: voglie intense, insieme a tentativi infruttuosi di ridurre il consumo e segni di astinenza, come irritabilità, difficoltà di concentrazione e mal di testa.

«Circa il 16% della popolazione vive in uno stato di dipendenza da cibo ultra-processato, che si può definire food addiction», conferma Stefano Erzegovesi, Psichiatra e Nutrizionista. 
«Da un punto di vista nutrizionale, un alimento “drogante” si caratterizza per la presenza, in proporzioni abbondanti e spesso associate tra loro, di sale, zucchero e grasso – spiega lo specialista – e questo vale per alimenti sia dolci sia salati». 

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In attesa di limitazioni da parte degli enti regolatori, soprattutto in considerazione del fatto che i primi «bersagli» per il consumo di questi alimenti sono i bambini (che nei Paesi Sviluppati sono colpiti da obesità e sovrappeso), quali comportamenti si possono adottare per limitarne l’influsso?
«In linea generale, per gestire la voglia smodata di alimenti droganti non è necessario evitarli del tutto, ma mangiarli molto raramente e con la giusta lentezza, così da poter riconoscere in maniera consapevole che possiamo non mangiarli perché sono “stucchevoli”: obbedire rigidamente ad un divieto porta spesso al problema opposto, ovvero all’abbuffata», indica Erzegovesi.

La regola d’oro, oltre al consumo molto occasionale (come indica la piramide alimentare della dieta mediterranea) è quella del fai-da-te. Meglio dolci e patatine fritte fatti in casa con ingredienti scelti, dosati e controllati rispetto alle opzioni industriali. E anche il palato ne guadagna.

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«Riguardo alla fetta di popolazione alle prese con alimentazione emotiva e “food addiction” l’importante è non giudicarsi e non scambiare la dipendenza da cibo per un vizio, perché può essere una patologia. In alcuni casi è necessario farsi seguire dagli stessi professionisti che si occupano di disturbi alimentari, quindi da un’equipe multidisciplinare (medico, nutrizionista, psicologo)», conclude l’esperto.

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